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L'obiettivo del tennista

IL FATTORE MENTALE NEL TENNIS

- Prefazione - l'obbiettivo del tennista agonista


Esordisco subito affermando e riconoscendo di non essere un esperto del settore, ma uno studioso che affronta l’argomento con passione, curiosità e apertura mentale. Questa rubrica è diretta a chiunque abbia piacere di conoscere diverse opinioni, anche non esimie, sul sistema dell’allenamento nel tennis.

Il mio studio non si limita alla lettura di testi di psicologia, ma si concretizza prevalentemente nell’osservazione dei grandi campioni e soprattutto dei loro coach (Bollettieri, Piatti, Castellani, Vecchi, ecc.); nei loro sistemi di allenamento mentale e spirituale. Proprio così, ... spirituale! Perché personalmente penso che per raggiungere alti livelli di espressione sia rilevante, più di ogni altra cosa, l’aspetto emozionale dell’atleta e la sua voglia di vincere, che lo spinge a superare quel limite di prestazione che poi farà la differenza. 

Ritengo che l'influenza della prestazione di un atleta è data in percentuali di altre singole componenti, rispetto allo stato mentale; pertanto, durante la preparazione e gli allenamenti di un agonista, il suo coach deve curare a pari passo le singole componenti, rappresentati nella figura accanto.

Ora, è importante precisare che in questa rubrica mi occuperò solo ed esclusivamente di giovani atleti, anche in età pre-puberale, che, dopo aver frequentato per qualche anno una scuola addestramento, hanno esternato 'liberamente' l'intenzione di svolgere tale attività in chiave agonistica e non più amatoriale.

Attenzione, ho deliberatamente enfatizzato il termine 'liberamente' poiché è importante premettere che la scelta di intraprendere tale tipo di attività (non obbligatoriamente per sempre) deve essere fatta dal soggetto e non dai genitori, che semmai dovranno decidere se affrontare o no i loro sacrifici anche finanziari.

Ciò premesso, sostengo che la preparazione mentale di alcuni atleti debba iniziare già in tenera età (7, 8 anni), anche se nei dovuti modi. Per esempio: spesso si sente dire che l’obiettivo principale degli allenamenti dei bambini, fino all'adolescenza, debba essere il gioco, inteso come momento di divertimento. Non sono d’accordo! Anzi, sono convinto che tale sistema venga utilizzato al fine di aumentare “gli iscritti” ma non certo la qualità. Questo non significa che un bambino di 7 anni deve faticare, lavorare, sacrificarsi o diventare un robot. Tutt’altro! Penso che quel bambino debba, sì acquisire tutte le esperienze motorie possibili divertendosi, ma debba anche iniziare un lento ma sicuro cammino verso la forma mentis “chi l’ha dura, la vince”; proverbio secolare che vale anche nella vita di tutti i giorni. Del resto, io non credo vi sia qualcuno (se non un masochista) che ami perdere; e a chi mi dice che “l’importante non è vincere, ma partecipare”, rispondo che egli è un ipocrita e che certamente......... non aveva vinto! Basti osservare l'atteggiamento di chi esce dal campo dopo una gara.

Mi sento di criticare fortemente coloro che sostengono che le scuole tennistiche debbano essere centri di divertimento. Certo, l’area per l’attrazione di nuovi allievi è importante; ma subito dopo, e intendo immediatamente dopo, l’allievo interessato all'attività agonistica deve capire perfettamente e senza equivoci, che l’obiettivo da conseguire è vincere quante più partite possibili (lo scopo del gioco del tennis è vincere la partita). E' importante, a tal fine, capire già dopo qualche mese di partecipazione alla scuola tennistica, se l'allievo è incline caratterialmente più per "l'agos" (carattere agonistico) o "il ludos" (voglia di giocare e divertirsi); in entrambi i casi l'attività che l'allievo intende effettuare è apprezzabile e da rispettare. Per questo motivo si intende dire: "ad ognuno il suo tennis".
Definito questo principio, si può ora affermare che: se c’è passione, allora c’è anche divertimento. Se l’obiettivo è chiaro e si è scelto di conseguirlo, tutto ciò che sarà fatto nel tentativo di raggiungerlo sarà piacevole; anche i sacrifici! E la voglia di vincere (dominare) è tra gli istinti primordiali dell’essere animale e umano. E nei bambini questo istinto non è frenato dal super Io (ragione) che poi filtra i comportamenti dell’adulto. Quando un bambino perde una partita, piange perché ci teneva a vincere e lascia sfogo alla sua carica emozionale. L’adulto che perde non piange (ma lo farebbe se potesse) perché gli hanno insegnato che “i grandi non piangono”, ma spesso si arrabbiano. 
Questo significa che tutti hanno voglia di vincere; la differenza consiste nel dimostrarlo più o meno. 
Termino questa prima parte affermando anche che non esiste vittoria senza sconfitte. La sconfitta quindi deve essere vissuta come un momento di formazione e di crescita. In fin dei conti, cosa ci si rimette a intraprendere una attività dove si impara a preparasied a lottare per ottenere un risultato? Non è che per caso, si impara qualcosa per affrontare la realtà di tutti i giorni? Si possono conciliare lotta all'estremo, lealtà, determinazione e correttezza? E ancora, è vero che il tennis è uno sport che fa male al fisico? Ma questi ed altri argomenti, verranno affrontati nei prossimi articoli.
Termino quest'articolo con questa massima:  “L’importante è vincere!!....... ma partecipare è anche bello”.

L'aspetto emozionale

IL FATTORE MENTALE NEL TENNIS

- L'aspetto emozionale dell'atleta.


Come ho già precedentemente affermato, ritengo che il fattore mentale sia la parte più importante (e anche più complessa) di un tennista agonista.

Continuo a ribadire tale concetto, in considerazione della peculiarità di questa difficile quanto affascinante disciplina sportiva. Il tennis, infatti, come pochi altri sports, è un attività di tipo "Open skills", cioè a situazioni aperte. Durante ogni punto giocato, infatti, è impossibile prevedere cosa succederà nel colpo successivo (Dove tirerà il mio avversario? Che velocità darà alla palla? E che rotazione? Dove si sposterà dopo aver tirato?) Come si può facilmente dedurre, la differenza è sostanziale e quindi l'incidenza dell'aspetto mentale, rispetto ad altri sports definiti "closed skills", cioè a situazioni chiuse, come può essere la corsa, il salto, il lancio del peso, ecc.; in questi ultimi è sicuramente prevalente l'aspetto fisico e tecnico ("Devo correre più veloce possibile! - Devo saltare più in alto che posso! - Devo lanciare più lontano possibile!"). E' chiaro che esiste anche in questi una incidenza dell'aspetto mentale, ma è di gran lunga meno importante delle altre.

 Ma cosa si intende per fattore mentale?

Per fattore mentale intendo un insieme di componenti emozionali, cognitive e logiche che l'atleta deve imparare a conoscere ed utilizzare durante un match.

L'Emozione:

L'essere emozionati non è una brutta cosa! Anzi, assenza di emozioni significa apatia, svogliatezza, disattenzione. Un livello emozionale alto, porta invece alla paralisi e all'incapacità di reagire a situazioni non previste. Quante volte vi è capitato di dover cantare davanti ad altri e sembra che la voce non esca, oppure a raccontare una barzelletta davanti a più persone ed avere la sensazione di non ricordarla? Bene, questa è la sensazione di paralisi che si avverte quando siamo troppo emozionati! Quante volte vi è capitato invece, di commettere errori banali su qualcosa che fate in modo routinario e quindi che non vi emoziona più? In ambedue i casi la vostra performance, qualsiasi cosa stiate facendo, è compromessa. Nell'ambito della psicologia dello sport (e non solo) questo "livello" emozionale viene chiamato ARAUSAL. E' chiaro quindi, che otterremo la prestazione massima quando il nostro Arausal sarà ad un livello intermedio e per noi ottimale.

 


Nel disegno è rappresentato l'andamento della prestazione all'aumentare dell'arausal, partendo dallo stato minimo (dormiveglia) e fino allo stato massimo (nervosismo isterico). E' importante, a questo punto, puntualizzare che il livello di arausal ottimale è diverso per ognuno di noi.

  

Ecco quindi, quali sono le sequenze importanti dell'aspetto emozionale per una prestazione ottimale:

1) scoprire e conoscere il proprio livello di arausal ottimale;

2) essere coscienti del proprio stato di arausal;

3) essere in grado di spostare volutamente il nostro stato di arausal mediante:

     - la conoscenza degli esercizi, rituali, gesti o pensieri che innalzano il nostro arausal;

     - la conoscenza degli esercizi, rituali, gesti o pensieri che abbassano il nostro arausal.

 Poco c'è da dire sulla scoperta del proprio livello di arausal ottimale, se non che il coach deve saper portare l'atleta a situazioni che comportino vari livelli di arausal e lasciare che l'atleta stesso "conosca" il suo stato ottimale.

Lo stesso si può dire per la consapevolezza dello stato attuale, che invece deve essere "percepito" dall'atleta con ripetizioni ed esperienze.


La coscienza - Stare nel presente

IL FATTORE MENTALE NEL TENNIS

– La Coscienza. – Stare nel Presente.


Una componente essenziale dell’aspetto mentale del tennista, che influirà sulla sua prestazione e che dipenderà, appunto dal suo livello di Arausal, è la Coscienza.

 

La Coscienza

(Definizione dal voc. Treccani) Consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori; cognizione, consapevolezza, percezione, sensazione, sensibilità.

Già dalla definizione della parola, si può comprendere quanto sia estremamente importante essere “coscienti” durante tutto il corso della partita.

Considerata la necessità di reagire in tempi estremamente brevi, nel corso di ogni punto giocato, l’atleta deve essere perfettamente cosciente di dove si trova, quando e perché:

Dove – la posizione propria nel terreno di gioco, la posizione che sarà costretto a prendere al momento di colpire la palla e la posizione del suo avversario;

Quando – il contesto del match ed essere consapevoli del “momento” in cui ci si trova è fattore importante. Personalmente non sono d’accordo con diversi altri tecnici quando si afferma che ogni palla deve essere giocata allo stesso modo. Ritengo che in ogni match, o comunque in molti, si verificano i cosiddetti “Punti chiave”, che sono quelli che, pur non determinando il risultato dell’incontro, ne influenzeranno sensibilmente l’andamento, soprattutto dal punto di vista psicologico. Tralasciando le chiare situazioni di set-point (anche se non è detto) o match-point, un esempio potrebbe essere la situazione di 4 a 2; dal punto di vista emotivo cosa totalmente diversa è giungere al 4 a 3, piuttosto che al 5 a 2; ecco che il punto per arrivare ad una o all’altra situazione di punteggio diventa una “palla chiave”. Capacità che viene spesso definita dai tecnici “Senso del match”.

Perché – è la domanda che il nostro “io” (S. Freud) si pone in ogni istante e per ogni azione che compiamo; quindi anche durante un’azione del tennis. E’ molto più profonda delle altre; si trova dentro di noi. La risposta al perché cova dentro al giocatore (qualcuno sostiene nel suo cuore) nei suoi obbiettivi cosiddetti “a lungo termine” e nella consapevolezza che proprio quella azione è una piccola tessera che fa parte del grande puzzle che si vuole portare a termine (obbiettivo). 


Il “perché” si legge sul volto!.

 

Per essere perfettamente coscienti, bisogna avere, quindi, un livello ottimale di Arausal e “stare nel presente”.

 Stare nel presente

Vuol dire, appunto essere consapevoli di ciò che accade in quel preciso momento; avere i pensieri canalizzati univocamente a quella situazione.

Spesso sentiamo dire, di un giocatore che commette errori banali o sbaglia grossolanamente la sua tattica che “ha la testa da un’altra parte”; in realtà, bisognerebbe più correttamente dire che “ha la testa in un altro tempo”.

I pensieri dell’atleta devono essere sempre sul “qui e ora”, su quello che si sta facendo in quel preciso momento, senza abbandonarsi a proiettare i propri pensieri su eventi futuri o passati.

E’ classico soprattutto nei giovani o nei giocatori da Club vedere il giocatore che continua a disperarsi per molto tempo dopo un errore commesso o un nastro colpito dall’avversario. Disperazione che evidenzia che i pensieri del giocatore sono rimasti al passato e che, molto probabilmente, lo porteranno a perdere i punti successivi.

Lo stare nel presente è, infatti, prerogativa di molti giocatori ad alto livello i quali, mediante i cd. “Rituali”, riescono rapidamente a ritornare mentalmente al presente e, soprattutto, con positività*.


Pensa positivo - i rituali

IL FATTORE MENTALE NEL TENNIS

– Pensa positivo: i rituali.


Dopo una esperienza negativa, la nostra mente, almeno nei minuti successivi, tende a criticare quanto è avvenuto ed a costruire fantomatici effetti negativi che da esso ne deriva. Si innesca così un procedimento di negatività, tendente a farci auto convincere che nulla potrà modificare tali effetti negativi. Da lì, un manto di negatività che ci avvolgerà per più o meno tempo e che per assurdo, lascerà che la nostra mente ci obblighi a commettere altri errori. Tanti sono i detti antichi che si tramandano in tal senso: Se cadi, rialzati e continua a correre; oppure, E’ inutile piangere sul latte versato; e così via..

Per riportare nel moderno quanto detto, mai fu così emblematico come lo slogan del più grande motivatore di tutti i tempi Steve Jobs, l’ideatore di Apple: “THINK RIGHT” (pensa positivo).

 Da allora, “Think Right” ha rimarcato una scuola di pensiero (che va oltre il tennis e che nasce già con l’induismo) che sostiene il vantaggio di allineare la mente a uno stato di positività, superando gli schemi di pensiero negativi sussistenti (soprattutto dopo un’esperienza negativa) e creandone di nuovi, più ottimisti e sani, al fine di affrontare con fiducia la situazione successiva e raggiungere il benessere psicofisico. Viene elaborato, quindi, come tecnica di modifica e di miglioramento della qualità delle nostre azioni e reazioni, attraverso l’osservazione e la gestione cosciente dei propri pensieri. Uno dei principi cardine di questa scuola di pensiero è l’affermazione che i pensieri sono materia viva e creativa  sulla quale l’individuo ha ampia possibilità d’intervento. La tecnica principale è costituita dalle “Affermazioni”, ovvero frasi che contengono in sé caratteristiche mentali, fisiche e spirituali che il giocatore desidera possedere oppure gli eventi che desidera che accadano. Le affermazioni possono essere pronunciate ad alta voce, pensate o anche cantate, portando così, attraverso questa costante ripetizione, a una riprogrammazione della mente subconscia. Altre tecniche utilizzate per rafforzare l’efficacia delle affermazioni sono: la gestualità o “Rituale”, la “meditazione” e la “visualizzazione creativa”.

 I Rituali

Sono, per l’appunto, gesti standard che si ripetono in determinati momenti dell’incontro. Essi possono essere: Rituali di Attivazione o Rituali di Reset. Mentre dei primi ci occuperemo quando tratteremo l’argomento dell’Attivazione, cercherò di far comprendere ora a cosa servono i rituali di Reset ed in che cosa consistono.

Sembrano stranezze, tic o superstizioni; e invece…

Ripete il movimento del servizio e dei fondamentali senza palla; saltella a vuoto prima di ricevere; sembrano strane abitudini di Marion Bartoli. In realtà si tratta di Rituali di Reset, suggeritele  dal Dott. Bartoli, suo padre e coach.

Le “smutandate” ed i gesti forsennati e ripetuti. E’ Rafael Nadal! Non superstizioni, non tic (o almeno non tutti). Sono Rituali suggeriti e “allenati” dal suo coach “zio Tony”.

Prima di ogni punto cammina verso i teloni di fondo, dando di schiena all’avversaria; quando è lei a servire, ogni volta si sposta un ciuffo di capelli dal viso, fa un paio di saltelli, fissa l’avversaria e fa rimbalzare la pallina una e una sola volta. Questi i riti magici (Rituali) di Maria Sharapova.

Queste gestualità, chiamate appunto Rituali, sono necessari agli atleti di alto livello proprio per tornare con i pensieri nel “Qui e ora” lasciando spazio ai pensieri positivi già determinati ed allenati, proprio per tornare con la mente, ogni volta, allo stesso stato di piena coscienza (da ciò la denominazione di Rituali di Reset).

 Come si creano e si allenano i Rituali di Reset?

Come per la tecnica e la parte atletica, anche la mente deve essere istruita e successivamente allenata, per far si che avvengano automatismi anche in situazioni di stress; anzi, proprio nelle situazioni di stress sono più utili iRituali. Per far meglio comprendere come avvengono questi meccanismi di “automazione”, preferisco portare un esempio di un gesto tecnico:

per eseguire bene il movimento del dritto, ad esempio, e svolgerlo bene anche nel corso della rapidità di uno scambio, il movimento (in realtà molto complesso) del dritto deve essere eseguito dall’atleta in modo automatico; durante l’esecuzione del dritto in partita, l’atleta non può riflettere sui singoli gesti da compiere: movimento delle gambe, torsione del busto, apertura, impatto con la palla con spinta delle gambe e finale del braccio racchetta (in realtà le variabili sono ancora tante). L’atleta deve eseguire il colpo in modo “automatico” poiché la sua attenzione deve essere rivolta al gioco ed alla sua strategia. Per far si che la combinazione complessa dei movimenti venga eseguita in modo automatico, l’azione complessa da compiere deve essere prima determinata e chiara per poi essere ripetuta un numero n di volte, fino a fissarla nella cosiddetta “Memoria Profonda”; essa è una parte del nostro cervello dove vengono memorizzate le nostre “abitudini” dopo, appunto, che alcune azioni vengono ripetute moltissime volte (es. guidare l’auto usando in maniera coordinata acceleratore, freno, frizione e cambio).

 Così funziona il Rituale!

Nella pratica, il giocatore ricercherà e determinerà un pensiero o un ricordo che richiama la sensazione positiva e di benessere psicofisico, poi associa il pensiero ad un gesto fisico particolare e unico e ripete l’esercizio un numero altissimo di volte. Così facendo, ogni volta che si esegue il gesto (lo smutandarsi ad esempio per Nadal), la mente associa automaticamente al gesto il pensiero positivo predeterminato. Viene chiamato Rituale di “Reset” poiché, per l’appunto, il nuovo pensiero distrae da ciò che è appena successo e Resetta la mente dell’atleta, il quale è pronto per un nuovo, identico, momento di coscienza del “Qui e ora!”.

Pensa positivo - La meditazione

IL FATTORE MENTALE NEL TENNIS

– Pensa positivo: La Meditazione.


La Meditazione (dal latino meditatio, riflessione) è, in generale, la pratica di concentrazione della mente su uno o più oggetti, immagini, pensieri (o talvolta su nessun oggetto) a scopo religioso, spirituale, filosofico o semplicemente di miglioramento delle proprie condizioni psicofisiche. Tale pratica, in forme differenti, è riconosciuta da molti secoli come parte integrante di tutte le principali tradizioni religiose. Approssimativamente a partire dal VII secolo, è presente il primo riferimento esplicito alla meditazione che sia giunto fino a noi, indicata con il termine sanscrito dhyāna (ध्यान) dalle scritture sacre induiste.

Nell'ambito della psicologia è definita uno stato della coscienza che può essere ottenuto mediante l'indirizzamento volontario della nostra attenzione verso un determinato oggetto (meditazione riflessiva) o mediante la completa assenza di pensieri (meditazione recettiva).

La meditazione recettiva ha come scopo l'assenza di pensieri e permette alla mente di raggiungere un livello di "consapevolezza senza pensieri". È un tipo di meditazione tipica di numerose filosofie e religioni orientali. Viene utilizzata dai preparatori, per lo scarico mentale con le tecniche di rilassamento (es. Training Autogeno);

Nella meditazione riflessiva l'oggetto della meditazione può essere qualsiasi cosa. In genere nella pratica vengono utilizzate visualizzazioni di oggetti fisici. Questo tipo di meditazione, nel tennis, è quella utilizzata nel pre-gara (per combattere l’eccessiva ansia da prestazione) e, soprattutto, nelle pause dei cambi di campo o alla fine di ogni Set. Non sto adesso a dilungarmi ulteriormente sulle tecniche di rilassamento e di meditazione, in quanto argomento a sé stante trattato nei successivi articoli, ma bisogna considerare che è una sorta di Rituale di Reset, ma con molto più tempo a disposizione; tempo che permette di fare prima un’operazione di dissipamento dei pensieri e di svuotamento della mente, per poi riprendere perfetta coscienza.

Le famose bottigliette d’acqua di Nadal, ne ha due o tre posizionate per terra vicino alla sua sedia per il cambio campo: le posiziona con uno schema ben preciso e maniacale: il suo oggetto di Meditazione.

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